Su mazzamurreddu-il folletto vestito di porpora

Su mazzamurreddu, il folletto vestito di porpora

Nel contu di oggi entriamo in un mondo legato più alla fiaba che ai racconti del terrore. Un curioso e piccolo personaggio è il protagonista della leggenda di oggi: su mazzamurreddu-il folletto vestito di porpora.

Una volta, quando i mezzi pubblici ancora non esistevano, si era soliti recarsi al lavoro a piedi. Di buona lena ci si metteva in cammino che era ancora notte e si arrivava a destinazione alle prime luci dell’alba. Questo è ciò che faceva anche un giovane di Quartu che si metteva in cammino ogni giorno per raggiungere Cagliari. Un percorso che aveva affrontato molte volte e che non gli aveva mai creato problemi di sorta. Ancora con il viso segnato dalla stanchezza del giorno prima, prendeva i suoi attrezzi da lavoro e, per niente intimorito dai pericoli del buio, si incamminava verso la grande città.

Un giorno qualunque, durante il suo classico tragitto, qualcosa lo turbò. Aveva come la strana sensazione che qualcuno lo osservasse e lo seguisse. La notte non lo aveva mai preoccupato più di tanto ma ora si fece largo in lui una nuova emozione: la paura. Paura di chi, o di che cosa? Non aveva granché per essere rapinato per strada; non aveva mai fatto del male a nessuno e non aveva nemici.

Chi era che posava lo sguardo su di lui?

Il suo passo si fece più veloce fino a trasformarsi in corsa. Ogni tanto una pausa per rifiatare, guardarsi intorno e poi di nuovo a pedalare. L’ansia si impadronì di lui e, col fiato corto e madido di sudore, si fermò di nuovo. Vide, a distanza di qualche decina di metri sul bordo della strada, due occhi lucentissimi che lo fissavano.

Su mazzamurreddu, il folletto vestito di porpora

Appartenevano a uno strano essere, quello che comunemente definiremmo un folletto. Solo la luce fioca di una luna non poi così luminosa poteva fargli capire che non si trattava di qualcuno (o qualcosa) di familiare. Era qualcosa di mai visto prima. Un esserino alto circa quaranta centimetri vestito di color rosso porpora con riflessi argentei lo osservava con i suoi vispi occhi. Il suo vestito aveva foggia simile a un paramento sacro: era su mazzamurreddu il folletto vestito di porpora. Il giovane continuò a camminare con passo svelto, con le gambe che ormai lavoravano per inerzia. Ogni tanto si voltava per dare uno sguardo a quel piccolo omuncolo e sperava vivamente di non vederlo di nuovo. E soprattutto, fatto non del tutto trascurabile, sperava di non essere seguito.

Ma purtroppo lo seguiva e, in cuor suo, desiderava che il ritorno della luce potesse far svanire lo strano essere. La meta non era più la città di Cagliari: il suo obiettivo, ora, era quello di far trascorrere le ore più velocemente possibile. Aspettava l’alba. Quell’alba che non era che il suo più grande desiderio gli sembrava irraggiungibile, e aveva l’angosciante sensazione che il tempo non passasse mai.

Ma il tempo fa il suo corso, a prescindere da come lo si percepisca, e così l’alba arrivò. Ormai con i nervi a pezzi ma con enorme sollievo, constatò che il folletto vestito di porpora non gli stava più alle costole. Non si sa con quale umore e con quali pensieri il giovane portò a termine la sua giornata lavorativa ma, una volta tornato al paese, la prima cosa che fece fu parlare del suo strano incontro. Qualcuno gli disse che si sarebbe dovuto fermare, qualcun altro ancora gli spiegò chi fosse quel piccolo essere: era su mazzamurreddu, il folletto che si manifestava per portare fortuna a chi l’avrebbe visto e incontrato. Pensava a come avrebbero reagito le altre persone alla sua vista e di come avrebbe, a suo volta, reagito lui in occasione di un secondo incontro. Nonostante tutto, il giovane rimase condizionato da tali parole, e sperò proprio che l’episodio si ripetesse. La sua vita continuò nella normalità finché un giorno, durante il suo solito tragitto, riavvertì quella sensazione. La sensazione di essere seguito e osservato. Era di nuovo lui. Le sensazioni che lo pervadero furono di quelle meno auspicabili: sperava in un secondo incontro ma la sua testa e il suo corpo reagirono in tutt’altro modo. Rabbrividì nuovamente alla visione di quegli occhi che lo fissavano e, nonostante cercasse di farsi forza, aumentò il passo. L’agitazione crebbe non appena si accorse che la distanza tra la “cosa” e lui si era ridotta sensibilmente e, nuovamente, le sue gambe cominciarono per inerzia ad acellerare e a correre. Ogni tanto si voltava a guardare ma il folletto gli stava sempre più addosso. Ormai in preda al panico più totale e con lo strano essere a meno di due metri da lui, si voltò e si fermò. Sferrò un calcio con le residue forze che gli rimanevano. Con un urlo di dolore si accasciò a terra. Si fratturò un piede calciando un paracarro.

Su mazzamurreddu-il folletto vestito di porpora

paracarri nel sagrato della chiesa di Santa Maria di Cepola

Alle prime luci dell’alba, il giovane dolorante venne riaccompagnato a casa da un carro diretto verso Quartu. Non riusciva a darsi una spiegazione plausibile sull’accaduto. Cosa aveva calciato, un paracarro o su mazzamurreddu? Era stata solo suggestione la sua? Ora sentiva il peso della vergogna su se stesso. Aveva perso un importante appuntamento con il destino. Si convinse che non avrebbe mai dovuto commettere quel gesto: dopotutto gli avevano parlato del folletto portafortuna, quel mazzamurreddu che nulla di male avrebbe portato.

Tradito dai suoi sentimenti, aveva dato il classico calcio alla fortuna.

Ancora la paura, ancora personaggi in balia dei propri sentimenti. Come nel contu di Fiebedduche ha in comune proprio il sentimento della paura e il terrore di essere inseguiti-lo sfortunato giovane è testimone di qualcosa di inspiegabile. Ma se nel contu di Fiebeddu assistiamo a una storia di pura superstizione con un finale tragicomico, in questo contu l’elemento fiabesco è protagonista e il tema affrontato è quello della (s)fortuna.

La variante

Tra le varianti della leggenda proponiamo quella raccontata dalla signora Rosalba e raccolte dalla Classe 1ª E con l’aiuto delle Prof.sse Ornella Carta e Reginella Comparetti dell’Istituto Comprensivo Porcu-Satta (Anno scolastico 2007-2008).

La proponiamo integralmente:

”Era uno gnomo tendente al rosso che quando appariva si diceva che nelle vicinanze si nascondeva un tesoro, e questa è la sua storia, raccontataci dalla sig.ra Rosalba”

.“Un ragazzo di quindici anni ogni mattina presto si recava a Cagliari per lavorare. Ad un tratto della strada incominciò ad udire degli strani suoni e per sfuggirli si accostò ad un portone pregando di non incontrarlo. Invece se lo ritrovò di fronte: era un omuncolo che appena superava il metro d’altezza ed indossava un cappottino da soldato che nascondeva piedi e mani. Il suo viso era nascosto da un grosso e nero fazzoletto. Sulla sua spalla destra si era caricato un enorme tronco della lunghezza di almeno quattro metri, e la cosa più strana era che, pur non tenendolo, esso non toccava il suolo. Improvvisamente non lo vidi più e cominciai a pensare che il buio lo avesse inghiottito. Nella casa dove lo gnomo era entrato non ci abitava nessuno, eppure di notte gli capitava spesso di sentire dei rumori di piatti, gente che urlava e che si muoveva e genericamente un gran chiasso.”

I tratti distintivi del nostro folletto sono evidenti, e anche l’ambientazione buia della notte coincide. Ma quello di cui ci si accorge subito è la differenza nell’abbigliamento del mazzamurreddu: nel racconto proposto da noi, è vestito con foggia simile a un paramento liturgico, più precisamente riconducibile al classico rosso col quale sono conosciuti i piccoli esseri. In questo della signora Rosalba, invece, lo vediamo vestito con un cappotto da soldato. L’associazione folletto-ricchezza il binomio folletto/tesoro, invece, sono replicati: ancora una volta il piccolo omuncolo ha qualcosa di particolarmente interessante che fa gola a molti.

Il nome mazzamurreddu

Mazzamurreddu non è un nome casuale. Troviamo qualcosa di molto simile nel dispettoso folletto del folklore meridionale: Laurieddhu, conosciuto anche come Scazzamurrieddhru, che suona particolarmente vicino al nostro mazzamurreddu. Ma soprendentemente identico, con le ovvie regionalizzazioni, è quello dell’area Campana, quel Mazzamauriello conosciuto anche come Munaciello.

Il dizionario on-line Treccani chiarisce l’etimologia della parola:mazzamurèllo (o mazzamaurièllo) s. m. [propr. «ammazza Mori (lat. Mauri)», traduz. dello spagn. matamoros «smargiasso»]. – Nel folclore romano e napoletano, folletto, in forma d’uomo, che spaventa le persone cattive ma è buono con quelle buone: il «mazzamurello» con i suoi capricci e le sue monellerie, non è che un travestimento comico dello spirito cosmico (E. Cecchi)”

A seconda dell’area geografica, assume anche, solo per citarne alcuni, i nomi di Carcaiulu, Mazzemarille, Monacello, Moniceddhru e Munaciedd.

I folletti nella cultura popolare
Su mazzamurreddu il folletto vestito di porpora

Il folletto nella versione vecchia e barbuta

Ci sono analogie tra il nostro mazzamurreddu, il folletto vestito di porpora e i classici esseri fantastici di cui abbiamo sempre sentito parlare fin dall’infanzia. A partire dall’aspetto: la bassa statura, il caratteristico cappello a punta e talvolta una lunga e folta barba, sono le caratteristiche più radicate nell’immaginario collettivo e considerate tra i tratti distintivi principali dei folletti. Ma non è stato sempre così. In origine, i folletti non avevano una dimensione caratteristica e il loro abbigliamento era differente. La loro prima descrizione è quella dell’inglese Gervasio di Tilbury, verso il 1210, il quale afferma che i “nuitons” hanno l’aspetto di vecchietti con la faccia ridente, sono vestiti di stracci cuciti insieme e sono alti meno di 2 cm. Pierre Dubois invece afferma che “niente è più complicato che descrivere un folletto”, ma definisce una misura: da un mezzo

Su mazzamurreddu il folletto vestito di porpora

Tipico folletto/gnomo della tradizione popolare

pollice a 30 cm. L’immagine presentata da Dubois è quella probabilmente più vicina alla più classica rappresentazione del folletto: i capelli e la barba folta che cresce da 300 anni, vestiti di stracci verdi e bruni e, soprattutto, il cappello appuntito rosso o verde sulla testa.

Il carattere dei folletti è spesso giocoso e, allo stesso tempo pur non arrecando grandi danni, dispettoso. Non amano mostrarsi agli umani, sono spesso custodi di tesori e hanno capacità magiche che li contraddistinguono. Nella cultura popolare ne esistono, inoltre, di varie tipologie: abbiamo i folletti della montagna, che vivono nelle grotte e nelle baite; quelli del bosco, forse i più conosciuti e i folletti del mare, che cavalcano delfini e si nascondono nelle barche. Anche il noto folletto irlandese, conosciuto come leprechaun (resa inglese del termine irlandese leipreachán), appartiene alla vasta schiera di omuncoli del folklore mondiale.

Approfondiremo ulteriormente questa particolarissima e amata figura della tradizione popolare che fin dall’infanzia ha catturato, per mezzo della letteratura e della fiction, la fantasia dei più piccoli…e, perché no, anche dei più grandi.

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https://it.wikipedia.org/wiki/Folletto

http://www.settemuse.it/costume/costume_folletti_fate.htm

http://www.treccani.it/

Illustrazioni di Michele Marescutti
Fonti principali:

Cenzo Meloni “Quartu-Cento anni di storia” per il racconto principale

 

 

 

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