Racconti e leggende popolari: i contus de forredda

I cimiteri monumentali tra arte e leggenda

Racconti e leggende popolari: i contus de forredda

Fin dalla nascita di Quartourismo, ormai circa otto mesi fa, abbiamo dato spazio a miti e leggende. La decisione di inserire una categoria come “Racconti e leggende popolari: i contus de forredda”, all’interno del nostro sito e nei nostri tour, è derivata dall’importanza che ricopre un certo tipo di tradizione tramandata oralmente che, di fatto, possiede una duplice valenza: è importante per identificare usanze e costumi di un passato più o meno recente offrendo, allo stesso tempo, uno spaccato di vita; è l’insieme della parola tramandata sotto forma di “contus” o semplicemente in forma aneddotica, entrambi fattori determinanti ai fini divulgativi e ideali traghettatori verso la riscoperta del territorio.

Racconti e leggende popolari: i Contus de forredda

Una via del centro storico in versione spettrale

Sa forredda

Il significato del termine “forredda” è da ricercarsi nel focolare domestico inteso sia come punto di raduno della famiglia sia come ambiente, talvolta l’unico, riscaldato delle vecchie abitazioni. Proprio in quella stanza, nelle fredde notti invernali, i racconti prendevano vita e agitavano i sonni dei più piccoli. Il fascino dei contus de forredda è indubbio: ogni parte dell’isola ha le sue leggende, alcune delle quali sono strettamente legate alla tradizione autoctona di un determinato territorio e il focolare è l’ambiente principale nel quale esse vengono raccontate.

Creature fantastiche e racconti universali

Ma ci sono anche leggende e miti “universali” con racconti che differiscono nella narrazione a seconda della zona geografica nella quale vengono raccontati (e tramandati). Così abbiamo creature fantastiche e terrificanti o leggende popolari connesse a un immaginario legato principalmente alla sfera del trascendente e della superstizione e legate indissolubilmente al territorio. Tutto ciò che non si può spiegare razionalmente può entrare nel mito e popolare i racconti. Tra le creature “universali” troviamo le cogas (chiamate anche surbiles o surtoras), le

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Il diavolo

streghe vampiro raccontate nel centro e nel Sud Sardegna, mentre per i racconti abbiamo, per esempio, quello de su carru gocciu”, chiamato anche “su carru de sa motti” a seconda della zona. Tutti fanno parte di questo patrimonio universale della tradizione-per usare un termine attuale-fantasy di Quartu e della Sardegna. Persino il diavolo, in alcune zone talvolta associato alla figura di Mommotti e simbolo universale del male, fa parte di questo bestiario che popola il mito e la leggenda.

Sovente, i contus de forredda, come avremo occasione di vedere, sono dotati di sottile ironia, significati nascosti e saggi insegnamenti finali.

Il primo contus: la storia di Fiebeddu e Antoniccu

La storia di Fiebeddu e Antoniccu è stata la prima narrata in un tour di Quartourismo. Era il maggio scorso e il tour al cimitero monumentale di Quartu coincideva con l’inizio della nostra avventura.

La storia di Fiebeddu e Antoniccu è un racconto macabramente ironico, pieno di superstizione e legato all’irrazionale. Ma chi erano i due protagonisti della storia e cosa portò una situazione-è proprio il caso di dirlo-tranquilla a trasformarsi in una tragedia?

Fiebeddu era un vero e proprio factotum del cimitero, non un semplice becchino, dunque.Si occupava, infatti, di tutto ciò che riguardava l’area cimiteriale: dalla manutenzione delle tombe alla traslazione delle salme dalle fosse comuni fino a veri e propri compiti amministrativi. Era il re del cimitero. In questo suo compito era affiancato dal suo aiutante, il giovane e aitante Antoniccu.

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Antoniccu e la fossa comune

Una coppia affiattata che riusciva, di buona lena e con dedizione, a far funzionare tutte le attività del camposanto. Ma qualcosa, senza motivo e improvvisamente, cominciò a non girare per il verso giusto. Lo stress da lavoro, si sa, è qualcosa che è sempre esistito e piano piano comincia a manifestarsi in Antoniccu, fino allora sempre ligio al dovere. La sua delicatezza nella traslazione delle salme, la sua precisione e puntalità sono ora messe in discussione. Comincia a manifestarsi in lui un sentimento autodistruttivo: la rabbia. Una sorta di odio patologico lo porta a sfogare la sua enorme frustrazione contro le povere salme dei defunti.

Fiebeddu, non contento del comportamento del suo aiutante, avverte il suo aiutante con un monito: “guarda che i morti si vendicano”. Un monito già di per sé terrificante, non fosse che Antoniccu non parve proprio curarsene e continuò con il suo incessante sfogo rabbioso. E così perseverò nell’ infierire sulle spoglie mortali, a stritolare le ossa e a disotterrare furiosamente scheletri. Finché non accade qualcosa, o meglio, non accade l’irreparabile.

Racconti e leggende popolari: i contus de forredda

Il teschio stalker di Antoniccu

Il teschio di uno scheletro viene calciato lontano in malo modo. Antoniccu si rende subito conto che qualcosa di non convenzionale sta accadendo: il teschio, girandosi su se stesso e quasi con un effetto boomerang, si riposizionò in direzione delle ossa che fino a pochi minuti prima gli appartenevano. Con piccoli movimenti, nell’oscurità illuminata fiocamente dalla luna, il teschio cominciò lentamente a strisciare verso le ossa evitando gli ostacoli, quasi come se cercasse di ricongiungersi ad esse. Antoniccu, cercando di non condizionarsi, provò a convincersi che ciò che stava vedendo non poteva essere reale, e provò anche a darsi una spiegazione. Non ci riuscì. La confusione si impossessò di lui,  e fu solo in quel momento che ripensò al monito del saggio Fiebeddu. Il primo pensiero è quello di darsi alla fuga, abbandonando il lavoro. Ma si sa, i problemi ti seguono ovunque, e anche il pensiero di cosa avrebbe potuto pensare Fiebeddu lo attanagliava. Ora temeva la vendetta dei morti, e il sentimento più forte che provava era quello della paura.

Con un sforzo di volontà riprese il lavoro, cercando di scacciare i cattivi pensieri, ma si accorse che le sue forze erano diminuite notevolmente: era come se quelle ossa che era abituato a raccogliere senza sforzo alcuno gli scivolassero via dalle mani. Nel frattempo, il teschio si era fermato e, ogni tanto, Fiebeddu lo controllava a vista. Riuscì, dando fondo a tutte le sue forze mentali e fisiche, a raccogliere le ossa e a dirigersi verso la fossa comune nella quale le avrebbe finalmente depositate. Ma quel traguardo non interessava solo Antoniccu: il teschio riprese il suo cammino e, dritto verso il suo obiettivo, puntò la fossa nella stessa direzione del giovane. Assolutamente legittimo, si potrebbe pensare. Il dirittto di proprietà è un diritto sacrosanto! Le condizioni psicofisiche di Antoniccu vacillarono ulteriormente. Che fosse la mano invisibile del morto a manovrare il teschio? La paura lo pervase e il suo passo si trasformò in una fuga sfrenata verso quella maledetta buca. Giunto all’imboccatura, qualcosa di poco umano echeggiò nella tranquilla notte del cimitero: l’urlo della morte. Un grido di dolore emesso da Antoniccu ne segna la fine. Colpito da un infarto fulminante, cade nella fossa comune. Il peggiore dei riposi nel peggiore dei letti.

Fiebeddu, allertato dall’urlo disumano, giunse sul posto constatando la morte del suo aiutante. Notò un teschio poco distante dalla fossa dal quale uscì squittendo e finalmente libero un ratto, inaspettato protagonista della nemesi.

Fine

Abbiamo visto come la superstizione sia la principale protagonista di questo primo contus della nostra nuova sezione “Racconti e leggende popolari: i contus de forredda”, e di come questa induca a sentimenti di paura e terrore quando l’individuo è posto di fronte a qualcosa di apparentemente inspiegabile. Antoniccu ne ha fatto le spese, probabilmente alienato da una situazione lavorativa in un ambiente nel quale le forze psicologiche sono messe a dura prova. La sua rabbia, unita alla superstizione e alla paura, ha generato uno scompenso talmente forte che lo ha portato, infine, a fare una fine poco invidiabile.

Contestualizzazione storica del racconto

E’ interessante notare come il luogo in cui si svolge la narrazione ci dia, già preliminarmente, alcuni particolari che permettono di ipotizzare il contesto storico della vicenda. Per ovvi motivi, non è possibile definirne precisamente i confini in quanto, ogni generazione che l’ha raccontata e tramandata, pur con modalità diverse, può avere aggiunto particolari “attualizzando” la storia. Quella pervenuta a noi, attraverso il libro di Cenzo Meloni ” Quartu Sant’Elena-cento anni di storia”, mostra un cimitero che potrebbe essere quello che una

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Foto d’epoca di Quartu. Sulla destra, delimitata in rosso, la vecchia area cimiteriale

volta era annesso alla chiesa di Sant’Elena: i due protagonisti della storia lavorano in un camposanto che vede la presenza di fosse comuni, caratteristica del vecchio camposanto; le traslazioni delle ossa dalla fossa comune all’ossario (o forse per il trasferimento nel nuovo cimitero?) per fare spazio alle nuove salme, indicano un cimitero più ridotto rispetto a quello che verrà; le mansioni di Fiebeddu, quasi un appaltatore del servizio cimiteriale e factotum, potrebbero essere invece indicazioni per una contestualizzazione storica del racconto, in un momento in cui le funzioni cimiteriali erano a carico di una sola persona. Racconto che dunque si collocherebbe alla prima metà del 1800 (se non addirittura a una data precedente), prima che il nuovo cimitero venisse edificato, a partire dal 1871, attorno alla chiesa romanica di San Pietro di Ponte, nell’attuale di Via Marconi.

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Contus in occasione del nostro primo tour al cimitero monumentale di Quartu

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Illustrazione del Settecento. Sulla sinistra è visibile il vecchio ingresso al cimitero

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Fonte principale per il contus di Fiebeddu e Antoniccu: “Quartu Sant’Elena-cento anni di storia” di Cenzo Meloni

Le illustrazioni sui miti e leggende e la foto del centro storico in versione spettrale sono di Michele Marescutti

L’illustrazione del vecchio cimitero è tratta dal libro “Minoranze silenziose”, a cura della prof. Luisa Contis e i suoi allievi del liceo Primo Levi di Quartu

Le foto del cimitero monumentale di Quartu sono di Riccardo Acciaro

 

 

 

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