Amate quanto una cattedrale – Le chiese campestri
Ci sono luoghi che da tempo appartengono alla gente. In questi, la popolazione riconosce le sue origini, le sue tradizioni e continua a portarle avanti nel tempo. Gli stessi luoghi che una volta erano considerati più sacri di come lo sono ora, sono indissolubilmente legati alla questione del territorio e dell’identità. Vi stiamo parlando delle chiese amate quanto una cattedrale, le chiese campestri quartesi.
Da cosa deriva il termine campestre?
Un termine che parla già da sé. Le chiese campestri si trovavano – alcune si trovano tutt’ora – in una posizione geografica dislocata dal centro abitato. Nascevano e venivano edificate per l’esigenza dei lavoratori di avere un luogo dove potersi rifugiare nella fede e nella preghiera. È oltremodo significativo che a giustificare la vasta presenza di edifici di culto sul territorio fosse proprio la vocazione rurale di Quartu e della Sardegna più in generale. Secondo il sito chiesecampestri.it, quelle conosciute, censite e ancora in piedi sono, su 377 Comuni, circa 1000 di cui circa 350 in abbandono o ridotte a rudere. Quelle totalmente scomparse ammontano, addirittura, a oltre 1400 edifici.
Semplicità stilistica e praticità
Le chiese campestri sono caratterizzate dalla grande semplicità estetica e costruttiva. Linee essenziali e pochi fronzoli per edifici che badavano al sodo svolgendo la funzione per la quale erano stati edificati: fede, preghiera e conforto per i lavoratori e abitanti delle zone a vocazione rurale. Non considerati capolavori dell’architettura, avevano e hanno ancora, dalla loro, il grande amore della popolazione.
La questione dell’identità e dell’appartenenza
Identità è appartenenza?
Nel gergo della Psicologia Ambientale, il concetto di identità di luogo prende il nome di place identity, concetto che prende piede negli anni 70 grazie al contributo di Proshansky.
Lo stesso autore:
“L’identità di luogo rimanda a quelle dimensioni del sé che definiscono l’identità personale dell’individuo in relazione all’ambiente fisico attraverso un complesso sistema di idee, credenze, preferenze, sentimenti, valori e mete consapevoli e inconsapevoli unite alle tendenze comportamentali e alle abilità rilevanti per tale ambiente” (Proshansky 1983, p.155).
Possiamo dunque affermare che l’individuo può percepire come zona di appartenenza la realtà campestre quartese e, in questo caso, una o più che chiese che fanno parte del suo vissuto?
Certamente sì. Ce lo conferma il fatto che questi luoghi hanno costruito ricordi, sentimenti, preferenze e “hanno reso possibile la soddisfazione di bisogni biologici, psicologici, sociali e culturali (Baroni, 1998)”. È proprio il senso di appartenenza al luogo che fa sì che chiese di modesta fattura, tutt’altro che capolavori dell’architettura possano, in taluni casi, essere amate quanto una cattedrale. È sempre il senso di appartenenza del luogo che scatena la “protezione e l’amore” per il monumento. Il cittadino, con il vissuto del luogo, sente un legame con il bene e il territorio: lo rispetta, lo protegge, se ne prende cura e ne tramanda la storia e le tradizioni. La popolazione vive quel luogo in prima persona.
Crescita demografica, edilizia e inglobamento
Con la crescita demografica-dagli studi e dai dati sappiamo che la crescita di Quartu fu esponenziale a partire dal secolo scorso-alcune chiese persero inesorabilmente il loro ruolo campestre. L’aumento della popolazione e la speculazione edilizia portarono all’edificazione forsennata e spesso abusiva (con buona pace delle leggi e per la felicità del mercato del mattone) di case e edifici, a scapito delle architetture religiose campestri. Il fenomeno di inglobamento colpì soprattutto gli edifici religiosi che risultavano meno dislocati rispetto agli altri: Santa Maria di Cepola risentì in particolar modo di questo trattamento. Talmente è confusa nel tessuto urbano composto da case e costruzioni annesse che, a un visitatore distratto, sarà addirittura celata la vista.
Gli altri casi
Destino simile a quello della chiesetta di San Benedetto nella Via Marconi, con il prospetto sinistro della chiesa addossato a un’abitazione più o meno recente. A salvarsi sono state le chiese che, più lontane rispetto al centro cittadino, hanno avuto la fortuna di non subire questo tipo di fenomeno: parliamo della Nostra Signora del Buoncammino, Sant’Andrea e San Forzorio. La forte ruralità della zona ha impedito infatti l’avanzare ciclonico dell’edilizia. Un caso ancora diverso è quello di San Pietro di Ponte, gioiello romanico attorno al quale è stato costruito il nuovo cimitero di Quartu alla fine del 1800.
Le chiese campestri quartesi e il loro ruolo
Entrando nel merito di questo tipica architettura, alcune chiesette si animano più di una volta l’anno per ricordare vecchie sagre e antichi rituali di una volta, confermando il ruolo sociale degli edifici. Quello di San Pietro di Ponte, da questo punto di vista, è differente: la chiesa, privata del suo ruolo campestre, venne individuata come ideale simbolo del nuovo camposanto. Ai quartesi serviva un luogo di culto per poter avere un nuovo cimitero e vennero accontentati. Tutt’ora, nonostante sia sconsacrata, è lo sfondo principale del cimitero monumentale della città.
La minuscola San Forzorio, graziosa chiesetta situata nella parte più campestre di Quartu, viene aperta per la rassegna Monumenti Aperti. Anche questa attualmente sconsacrata, attorno ad essa una volta veniva celebrata la sagra dei protetti di San Forzorio, antica festa che si è persa nel tempo.
Abbiamo individuato, al centro dei nostri studi e per quanto riguarda il ruolo prettamente sociale, almeno tre chiese campestri attive : la chiesa di Nostra Signora del Buoncammino, che ospita la sagra omonima nel mese di ottobre; la chiesa di Sant’Andrea, importantissima per la storia del territorio e testimone di assalti e invasioni. Nel parco dedicato intitolato ad Andrea Parodi si festeggiano e si ricordano, ogni anno nell’ultima settimana di luglio, gli antichi rituali della sagra di San Giovanni.
Ma il caso più interessante rimane tutt’ora quello della chiesa di Santa Maria di Cepola. La piccola chiesetta, letteralmente salvata dalla famiglia Benone,che da oltre cinquant’anni se ne prende cura, potrebbe diventare realmente un caso di studio di psicologia ambientale. La chiesa – una volta campestre – è quella dalla quale probabilmente tutto ebbe inizio. Dal quartiere di Cepola nacque, infatti, il primo agglomerato che diede alla zona una prima parvenza di nucleo abitativo. Non ancora un paese, ma qualcosa più di un villaggio.
Il ruolo delle chiese campestri è quindi di tipo sociale e storico. All’identificazione dei residenti del luogo, si associa una memoria storica che viene perpetrata nel tempo rendendo questi edifici, di fatto, luoghi immortali della comunità
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Fonti:
https://en.wikipedia.org/wiki/Place_identity#Case_studies
http://psicologiaambientale.docmind.org/?p=116
http://www.chiesecampestri.it/
Le foto del tour di Sant’Andrea, della chiesa omonima e del tour del centro storico sono di Federico Branca. San Forzorio, San Pietro di Ponte, l’interno di Santa Maria e Nostra Signora del Buoncammino sono di Michele Marescutti.